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Presentato nelle Giornate degli autori della 68esima Mostra del cinema di Venezia

Ruggine

Bella e dolorosa la favola nera di Gaglianone che tratta il tema della pedofilia


di Oriana Maerini


Come si sopravvive all'incontro con il male? Questa è una delle domande cruciali alla quale Ruggine, ultima fatica di Daniele Gaglianone presentata, il primo settembre, nelle Giornate degli autori della 68esima Mostra del cinema di Venezia tenta di rispondere. Ambientato in un'arida periferia di una non ben identificata città del nord Italia alla fine degli anni 70, Ruggine, tratto dall’omonimo romanzo di Stefano Massaron, narra di un gruppo di ragazzini, figli di immigrati meridionali, che giocano a fare gli adulti intorno ad un "castello" rappresentato da due vecchi silos arrugginiti cosparsi di rottami di automobili. Bellissima la scena iniziale in cui due ragazzi della banda sembrano coccolarsi nella luce che penetra dentro questo loro rifugio segreto. Cinzia (Giulia Coccellato), una bambina troppo cresciuta per sua età (si capirà poi che è stata molestata dal compagno della madre) confessa al compagno di giochi Sandro (Giuseppe Furlò) che vorrebbe evadere da una periferia in cui le donne “fanno solo figli e salsa di pomodoro”. Ma la tranquilla quotidianità di questi giochi viene improvvisamente stravolta quando due bambine vengono trovate stuprate e uccise. Nessuno, tranne quella piccola banda di bambini sporchi ed irrequieti, dubita del nuovo pediatra (un Filippo Timi bravissimo e mefistotelico) arrivato, con la sua macchina sempre pulita ed il suo completo nero, da poco nella zona. Contemporaneamente tre adulti (Valerio Mastrandrea, Valeria Solarino e Stefano Accorsi), in un'altra dimensione temporale, fanno i conti con i fantasmi del loro passato.



Quello che colpisce di questa pellicola è la cifra stilistica scelta dal regista. Un registro originale ma complicato che se convince tuttavia appesantisce il racconto filmico. Gaglianone sceglie, infatti, di strutturare la sua opera in quattro percorsi che si incrociano: uno riguarda il passato e tre si svolgono nel presente. Ma il passato non è mai un flash back e il presente non è mai un fash forward. Solo dopo molti minuti di visione riusciamo a comprendere che dentro i panni dei tre adulti si nascondono i tre protagonisti bambini che hanno incorporato il "drago nero" nel loro inconscio personale. Carmine (Mastrandrea ) che ha strappato la sorella dalle unghie dell'orco è diventato un fallito che trascorre le giornate in un bar straparlando; Cinzia (Valeria Solarino) è un professoressa di arte che difende in consisglio di classe un'alunna strana che è stata molestata; Sandro (Stefano Accorsi) è un padre che, in un angusto appartamento, ripete all'infinito con il figlio il gioco della caccia al "drago nero". Gaglianone, che è anche sceneggiatore del film insieme a Giaime Alonge e Alessandro Scippa esce con quest'opera dal ghetto del low badget e sperimenta la sua prima esperienza con un cast di volti noti e con una grande produzione alle spalle (Fandango, Zaroff e Rai Cinema) dimostrando una genialità ed un' originalità non comuni nonchè una maggiore maturità artistica. Visivamente il film è straordinario perchè riesce a riversare sullo spettatore tutta la desolazione dei luoghi. Una regia rarefatta, a tratti sfocata, ed un montaggio incrociato rendono, poi, molti intensi i passaggi drammaciti della storia (il pedofilo Timi appare spesso in una luce sfocata quasi venisse dagli inferi). Spiazzante l'interpretazione di Mastrandrea in versione sicula con in bocca un dialetto che non gli si addice. Forse un po' troppo sovrastante e dura la colonna sonora del film, affidata a Vasco Brondi de Le Luci della Centrale Elettrica che accompagna ogni scena intensificandone la drammaticità.

giudizio: ***




(Venerdì 2 Settembre 2011)


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