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La caccia all'uomo più "faticosa" della storia

Zero Dark Thirty

Una piccola donna contro Bin Laden


di Roberto Leggio


Schermo in nero. Sullo sfondo alcune frasi salienti di alcune vittime che restarono uccise negli attentati della Torri Gemelle. Un grido e tutto si spegne. O meglio inizia. La caccia all’uomo più impegnativa della storia umana, prende piede proprio dal momento in cui le Torri Gemelle franarono in una nuvola di polvere che coprirono l’innocenza degli Stati Uniti. Osama Bin Laden è il nemico giurato di tutto l’occidente, ma non solo. Così quando verrà ucciso da un blitz dei Navy Seals il 2 Maggio 2011, il mondo intero poté tirare un sospiro di sollievo. Ma cosa si mosse per arrivare a quel momento di gioia? Quanti miliardi di dollari, vite umane, impegno e determinazione vennero impiegati nel decennio nel quale i servizi segreti e l’esercito si impegnarono per catturare il nemico numero uno? La storia di questi sforzi è la trama di Zero Dark Thirty, un quasi docufiction che si concentra sulla determinazione e l’intuito di una giovane ufficiale della CIA (“un vero killer”, come la definiscono a Washington), che andando contro i giochi di potere, gli scetticismi e una cultura tutta maschile, riuscì a trovare in uno sperduto paesino pakistano l’uomo che incarnava il male assoluto.



La storia è quindi la sua “storia”, di piccola donna con i capelli rossi (Jessica Chastain che si è guadagnata una nomination all'oscar) in guerra con il machismo per raggiungere lo scopo della sua missione. Il film, diretto da Kathryn Bigelow, è un thriller ad alta tensione, dove la regia non cede mai al passo al sentimentalismo, ricostruendo le dinamiche di lavoro dell’intelligence, la solitudine di una donna caparbia e le “ossessioni” di un paese in guerra con un fantasma. Il personaggio, costruito ad hoc, è naturalmente ispirato alla realtà, ma essere donna, dall’apparenza fragile, impone una lettura tutt’altro che semplicistica. Anzi amplifica l’ansia di ricercare “l’ago nel pagliaio” anche davanti alla durezza delle torture per estorcere un possibile collegamento a Bin Laden. Lo spessore del personaggio è proprio costruito in quelle scene iniziali, in quanto il “suo” lavoro prevede la forza bruta e l’intimidazione. La Bigelow da parte sua riversa la sua capacità di intrattenimento, sapendo dosare i tempi (anche se la parte centrale è un po’ prolissa) in una progressione narrativa scandita con estrema precisione dalla sceneggiatura di Mark Boal, fino alla sequenza finale dove tutto o quasi è vissuto attraverso gli spettrografi dei soldati in azione, che portano un innegabile realismo agli spettatori. Se il risultato è notevole resta però un grosso quesito: perché Bin Laden doveva essere ucciso per forza e non consegnato alla giustizia? Non è un dubbio da poco, se pensiamo che la vendetta non è mai il modo migliore per risolvere qualsiasi questione.

Giudizio: ***




(Giovedì 7 Febbraio 2013)


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