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Il destino dell'India nelle "magie" di un bambino

I figli della mezzanotte

Deepha Metha trae da Salman Rushie un film sospeso tra fiabe e realtà


di Roberto Leggio


Uno scambio, la magia di alcuni, la povertà di altri e la storia di una immensa nazione. A mezzanotte del 15 Agosto 1947, il momento esatto in cui l’India diventa indipendente dall’Inghilterra, nasce Shiva, figlio di una famiglia benestante. Ma per un atto di giustizia sociale, l’infermiera scambia il bambino con un altro neonato, Saleem, figlio di una coppia molto povera, anche lui venuto alla luce a mezzanotte. Da questo momento la vita di Saleem si intreccia con la storia dell’India, diventando la metafora di una nazione sospesa in un limbo di magia, bellezza, equivoci e tragedie. Ma nel bene o nel male, nella gioia o nel dolore, ogni scelta, ogni gesto è stato concepito con amore.


Non era cosa facile riportare in immagini il denso romanzo di Salman Rushdie, perchè la storia “scritta” è così piena di pathos in quanto di volta in volta si espande verso la ricerca di un assoluto. Deepha Metha, regista di classe (e di grande forza visiva) riesce a coniugare il senso della vicenda andando, come in tutto il suo cinema, alle radici dell’anima della sua India, paese abbandonato per il Canada ma mai dimenticato. La rabbia, l’amore, la morte, la sostanza di cui è fatto quel territorio tra cielo e terra (la spiritualità si scontra quotidianamente con la materialità della ragione) si fondono in un film sempre sospeso in un limbo da fiaba magica. Forse non tutto funziona alla perfezione (la lunghezza a volte grippa il racconto), ma il risultato rende giustizia ad un prodotto che risparmia eccessi di retorica, anche grazie alla voce narrante usata come volano per far coesistere suggestioni che altrimenti sarebbero rimaste attaccate alla pagina scritta.

Giudizio: **1/2



(Giovedì 28 Marzo 2013)


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