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Rilettura post-moderna di un caposaldo della letteratura americana

Il Grande Gatsby

Buz Luhrman ritorna al rutilante stile di Moulin Rouge ma qualcosa non funziona


di Roberto Leggio


Love tear as apart. L’amore implica molte cose. Anche giocarsi tutta la vita per poterlo riconquistare e tenerselo tutto per sé. Il senso de Il Grande Gatsby, romanzo sulla tragedia del sogno americano arrivato al capolinea, è racchiuso nell’amore impossibile tra l’affascinante (e probabilmente impostore) Jay Gatsby e Daisy Buchanan, sofisticata e bella moglie di un ex giocatore di Polo, ricco e snob. Ma sottotraccia si possono leggere tutte le sfumature di un mondo in evoluzione; quello americano degli anni ’20, ruggenti per antonomasia dove il nuovo mondo si apprestava a diventare il motore del pianeta e che poi si scoprirà effimero con tutte le implicazioni della crisi economica, del gangsterismo e votato all’edonismo. Siamo nel 1922 e il giovane aspirante scrittore Nick Carraway, va a vivere a Long Island in una villetta che confina con quella enorme del misterioso Jay Gatsby, milionario quasi invisibile solito a organizzare feste memorabili per i più ricchi di New York. Diventato amico e confidente del magnate, in una di queste kermesse di musica Jazz, balli, alcool e frivolezze, Nick viene a conoscenza che Gatsby cinque anni prima e stato innamorato di sua cugina Daisy. Coinvolto dal giovane ad organizzare un incontro tra i due, Nick verrà catapultato nell’acattivante mondo dell’alta società, trovandosi a dividere con loro illusioni, amori ed inganni. Ma dopo una tragedia annunciata, lo scrittore tirerà le somme con disgusto il tramonto del sogno americano.


Quarta rivisitazione dal romanzo di Francis Scott Fitzgerald, il nuovo Gatsby di Buz Luhrman, riempie di suoni e colori (e moltissimi movimenti di macchina) la storia dell’amore travagliato di un ricco che è diventato tale (grazie anche ad azioni illegali) solo per entrare in società e colpire il cuore di una donna che vorrebbe tutta sua. Fiaba di decadenza sociale, l’opera del regista australiano, è vistosamente affascinante nella prima parte (il rutilare di hip hop, roch’n’blues) ma che si appiattisce non appena i sentimenti tra Gatsby e Daisy (ri)vengono messi in campo. Anche perché, più di scavare in un epoca dove tutto pareva dorato e a portata di mano (geniale il confine tra l’isola di ricchezza e il quartiere operaio di una città in evoluzione sotto costante “osservazione” di un paio di occhiali maschili che scrutano i peccati umani), il film di Luhrman si compiace nel veicolare tutta la vicenda verso il sentimento tra i protagonisti, rischiando così di semplificare il quadro che li racchiude. Così facendo rende ancora più amaro il finale, senza però ripetere la forza vitale ed espressiva che il regista aveva energicamente messo in scena con Moulin Rouge, opera tra l’altro citata pienamente nel modo e nello stile. Si potrebbe dire che il film lasci un po’ freddi, ma è eccezionale vedere la performance di Leonardo DiCaprio, bravo ad incarnare la solitudine di un “eroe” ambizioso che si immola per un amore ideale ma distruttivo. A raccogliere i cocci di una società “malata” di protagonismo è Tobey Maguire, sorta di alter ego di Scott Fiztgerald, capace di criticare un mondo volatile, per nulla altruista votato al divertimento e al dio denaro.

Giudizio: **1/2



(Giovedì 16 Maggio 2013)


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