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La pellicola di James Mangold fa rimpiangere lo spin-off del 2009.

Wolverine:l’immortale

Punta sulla storia d'amore a scapito della spettacolarità


di Mirko Lomuscio


Con Wolverine:l’immortale Hugh Jackman torna sul grande schermo nel ruolo che gli ha dato la celebrità, e lustrando artigli e bicipiti si cimenta, con il suo Logan, in una nuova avventura, dopo aver esordito lontano dagli X-men in uno spin-off del 2009. Il talentuoso attore promette di rifarsi dalle critiche subite dai fans per quell’escursione solista (in verità neanche così mal riuscita, anzi) e sotto la guida del mestierante James Mangold (suo Walk the line-Quando l’amore brucia l’anima ma anche il dimenticato, ingiustamente, Identità) cerca di dare quella dimensione giusta alla creatura nata dalla mente del geniale Stan Lee.
Stavolta l’azione si svolge precisamente dopo X-men:conflitto finale di Brett Ratner. Prendendo le distanze da X-men le origini:Wolverine che era ambientato molto prima della serie lanciata da Bryan Singer, si sposta in terre orientali, dove Logan viene chiamato al cospetto del potente e anziano Yashida (Hal Yamanouchi), un uomo legato al mutante sin dalla seconda guerra mondiale. Qua il nostro eroe si troverà invischiato in una serie di intrighi, dove delle forze malvage vogliono impossessarsi della sua immortalità, vedendosi così contro una potente organizzazione criminale che intende catturare lui e la nipote di Yamashida, la bellissima Mariko (Tao Okamoto).
Ovviamente Logan non si da per vinto e la lotta per la sopravvivenza sarà dura anche per un immortale come lui.



Questa pellicola firmata da Mangold fa rimpiangere l’odiato spin-off precedente realizzato da Gavin Hood (che, ripetiamo, in verità non era malvagio) essenzialmente per due motivi:
innanzitutto perché questo Wolverine:l’immortale prende totalmente le distanze dall’estetica dei comic movie di oggi, cercando di riempire le due ore e passa di visione con un’introspezione che sembrerebbe voler citare più un certo cinema stile Hiroshima mon amour, e, in secondo luogo, perché il risultato potrebbe lasciare gli spettatori basiti e annoiati.
Mangold non ne vuole proprio sapere di tagliare i suoi protagonisti con l’accetta e spinge il pedale su una storia sentimentale che sovrasta gran parte della durata, tant’è che quando arriva l’azione non ci si sente molto appagati.
Si punta sull’autorialità con la A maiuscola e la parte spettacolare purtroppo appeal, tant’è che sembra di assistere ad un mediocre prodotto di metà anni’90. Ne paga lo scotto anche la descrizione di una cattiva, la Viper di Svetlana Khodchenkova che risulta poco accattivante.
Jackman mostra muscoli e addominali mentre sforna le solite battute alla Wolverine e tra gli interpreti spicca anche lo Yamanouchi che molto ha militato nel nostro grande cinema di genere (dal post atomico casereccio di inizio anni ’80 alle commedie italiane), scelta curiosa quest’ultima ma a dire il vero anche accattivante.
Ovviamente tutto è proposto in 3D, ma poco aiuta a risollevare le sorti artistiche di Wolverine:l’imortale.
Un consiglio: rimanete in sala dopo i titoli di coda; amanti degli X-men per voi l’avventura continua. E speriamo che migliori.

giudizio * 1/2



(Giovedì 25 Luglio 2013)


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