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Un “supereroe” di lavoro nell'Italia arrangiata

L'intrepido

Spaesato affresco di un uomo malinconico


di Roberto Leggio


Lenta scorre la vita di Antonio Pane, uomo di mezza età costretto dagli eventi ad essere un “rimpiazzo” a tempo pieno. Antonio, infatti, sostituisce qualsiasi, in ogni lavoro possibile, in una Milano non più da bere. Divorziato da tempo, vive con disinvoltura questo stato delle cose, in quanto i soldi sono importanti, ma la dignità è un'altra. Ha un figlio, Ivo, sassofonista, che ogni tanto lo va a trovare con calzini nuovi, e che fa parte di una band jazz band con molti problemi. Ad entrambi però la “felicità” non manca, anzi Antonio ha trovato in qualche modo un giusto equilibrio nel quale “non bisogna mai lasciarsi andare, anche in momenti di crisi buia”. Un giorno, durante un concorso “farsa” incontra Lucia, una ragazza di vent'anni, sola, con un segreto alle spalle, che si arrabatta come può pur di pagare l'affitto. In questo strano mondo di lavori che vanno e vengono e mai restano, i tre “eroi” della storia cercheranno di sopravvivere a loro stessi, alla conquista di un lieto fine.


Sguardo semiserio (ma molto spietato) sulla precarietà dell'oggi il film di Gianni Amelio, passato questa mattina al Festival di Venezia dividendo la critica; è un'opera che si arrocca attorno e sul corpo di Antonio Albanese, uomo qualunque che si presta a tutti i lavori possibili (muratore, attacchino, stiratore, venditore di rose e molto altro), come l'eroe di carta di un famoso fumetto del bel tempo che fu (L'intrepido). Ma forse la sua fisicità non basta in un'opera che procede per episodi, mostrando tra le maglie della trama metafore e sottotesti di un'Italia che ha smesso di “ridere” e che si è saldamente attaccata alla precarietà. Non solo del lavoro (che non c'è), ma anche dei sentimenti che sembrano sempre più mete inaccessibili. Ma è anche un sguardo disincantato sul futuro dei giovani sempre più oppressi dall'instabilità; il figlio Ivo ad esempio è un bravo musicista che però ha paura di apparire in pubblico, mentre Lucia, più terrena, nonostante la giovane età ha già smesso di sognare. In mezzo c'è la caparbia malinconia di un uomo d'altri tempi (in un passato ormai remoto era un buon calzolaio) contento di essere un “rimpiazzo”, probabilmente perché la vita gli ha insegnato a non disperasi mai. Ma oltre i contesti psicosociologici, Amelio ammicca al presente con la vacuità di un paese soffocato dalla menzogna (possente la scena del magazzino di scatole vuote di un costosissimo negozio di scarpe) e dalla perenne arte di arrangiarsi anche in maniera non legale (il laido boss che procura ad Antonio i lavori in sostituzione). Tutto questo rientra nel quadro di un film d'autore che non trova mai un vero centro (Albanese però è davvero bravo, anzi viene da pensare che i ruoli drammatici siano la sua vera cifra), forse perché i personaggi, il paese ed il contesto, non rientrano in una “reale” realtà, se non solo tra le pagine di un libello di svago fumettistico, come lo fu appunto L'intrepido.

Giudizio: **1/2



(Mercoledì 4 Settembre 2013)


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