 Il 43° film di Allen punta tutto su Cate Blanchett Blue Jasmine Anti-eroina alleniana in cerca della propria identità
di Paola Galgani Il vero nome di Jasmine, Jeanette, era troppo prevedibile per l’Upper Side di Manhattan, dove la donna viveva col marito Hal (Alec Baldwin) godendosi gli Hamptons, le amicizie importanti e il lusso sfrenato. Quando Hal va misteriosamente in bancarotta e si suicida in prigione, a Jasmine, povera in canna, non resta altro da fare che volare –naturalmente in prima classe- dalla sorellastra Ginger, che San Francisco conduce ben altro stile di vita coi suoi due bambini e il suo compagno di basso ceto. Jasmine è completamente disorientata dallo shock: tra uno xanax e un superalcolico, pur criticando aspramente Ginger cerca pur con poca convinzione di inserirsi nel suo mondo. Si sforza di seguire la sua passione per l’arredamento e di agire come una persona normale, finché non le si ripresenta l’opportunità di tornare alla sua “vera” vita, a costo di costellarla ancora di menzogne. Attendendo che il destino le riveli le sue carte, seguiamo il suo recente passato scoprendo poco alla volta una Jasmine senza troppi scrupoli e ci chiediamo cosa meriti veramente…

Cosa fare se la vita ci offre una seconda opportunità? E’ più giusto seguire una vita agiata e invidiabile ma solo di facciata o cercare a tutti i costi se stessi con il rischio di fallire su tutti i fronti? Questi alcuni dei dilemmi cui ci pone di fronte Woody Allen, instancabile narratore di personaggi dei nostri tempi. Pensando a un personaggio travagliato psicologicamente, verrà naturale chiedersi quali delle famose nevrosi alleniane esso rispecchi: bene, Jasmine è una donna narcisista, manipolatrice, vendicativa e insicura. Ma è anche fiera, raffinata, intuitiva, e in fondo alla disperata ricerca di amore. Questo complesso melange è interpretato dalla strepitosa Cate Blanchett (candidata agli Oscar, come molti degli attori diretti da Woody…), che ci fa immergere totalmente in Jasmine, nelle sue amarezze, nelle sue contraddizioni, nella cocente delusione per l’ingiustizia subita nel non avere la vita di Jasmine ma, forse, solo quella di Jeanette. Il rapporto con Ginger – una pimpante Sally Hawkins- è, in effetti, come uno specchio che le rimanda indietro l’immagine di ciò che non vuole essere. Il rapporto tra sorellastre, fatto di gelosie, perdono, altruismo e vecchi rancori, è delineato in pochi tratti ma autenticamente. I ceti alti, come sempre, sono schizzati con la giusta dose di distacco e ironia (in quanto ai costumi, pare che la Blanchett abbia scelto da sola i suoi raffinati abiti di scena) mentre il ritratto di quelli popolari è più prevedibile. Lo stesso vale per la location: i luoghi più chic di Manhattan (è la terza volta per il regista, dopo Manhattan e Anything Else), filmati in un appariscente formato, sono molto più di impatto della San Francisco di cui emergono ben poche icone, dando l’impressione che sia solo un pretesto per una storia che avrebbe potuto svolgersi ovunque. E sulla necessità di certe location molti avevano avuto da ridire anche per recenti commedie come Midnight in Paris e To Rome with Love. Nonostante l’uso di mezzi tecnici essenziali Allen costruisce visivamente un racconto di una fluidità sorprendente. Al di là di un certo spaesamento per i salti nel tempo la tensione ci accompagna dall’inizio alla fine, accordandosi alle emozioni e alle paure represse della protagonista, e costruendo il pathos che sfocerà nell’intensa scena finale sulla panchina. Il cast ruota con magistrale armonia intorno alla protagonista: Alec Baldwin, Bobby Cannavale e Peter Sarsgaard sono naturali, perfetti nei loro ruoli maschili “tipici” ma non per questo scontati. Ma Blue Jasmine resta un film al femminile, sulle difficoltà e le contraddizioni di essere donna della nostra società (post-femminista?) di cui Woody Allen è ancora una volta acuto e sensibilissimo osservatore.
Giudizio: ** 1/2

Il trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=LWP229mB0Xk
(Giovedì 5 Dicembre 2013)
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