 Il sapore del cibo e dell’amore epistolare Lunchbox Miracolo indiano in un film lontano dai colori e dalla musica di Bollywood
di Roberto Leggio Ila è una donna innamorata di un marito assente. Per farlo cadere nelle rete delle sue attenzioni decide di inviargli tramite i Dabbahwallhs (trasportatori di gavette) i suoi manicaretti preferiti. Nella casistica delle probabilità il Lunchbox a lui destinato arriva sulla scrivania di Saajan, impiegato di una ditta di contabilità. Dato che il marito non si rende conto che il cibo non è si sua moglie, Ila inizia a spedire le pietanze (sempre più elaborate) con dentro dei bigliettini iniziando così una relazione basata tutto sullo scambio epistolare. Saajan, da poco vedovo, prende coscienza del vuoto della sua vita continuando a scrivere alla sconosciuta che dall’altra parte, soprattutto quando scopre che il marito la tradisce, pensa che sia il momento giusto per cambiare la sua vita.

Lasciate perdere i canti, i balli e le coreografie coloratissime dei classici film di Bollywood e lasciatevi cullare da una storia d’amore a “distanza” tra un uomo e una donna che attraverso la parola scritta prendono coscienza di loro stessi e ricominciano a vivere. Se da una parte Saajan ha il destino già scritto; sta per andare in pensione e prevede di passare il resto della sua vita tra le strade modeste della periferia di Mombay; Ila sogna attraverso le parole dell’uomo (che tra l’altro conosce solo attraverso la calligrafia) di poter fuggire via dalla routine, fatta di un figlio, un marito che non esiste e la voce della zia che trova sempre una soluzione ai suoi problemi. Un film dolce, quasi fuori tempo, anacronistico se vogliamo in quanto sfrutta la potenza della scrittura a mano (“tutti scrivono email, ormai…”) contro lo strapotere di quella elettronica, ma anche che rende epico il miracolo dei Dabbahwallhs, che in bicicletta e in tutte le condizioni atmosferiche consegnano il “cibo in scatola” ovunque con un errore su un milione (il sistema di consegna studiato perfino a Harward). Ed è proprio su quell’unica possibilità che il regista esordiente Ritesh Batra mette in scena, oltre al rapporto tra due persone in cerca di risvegliare il grigiore delle proprie vite; la storia presente del suo paese, fatto di facce, strade, edifici e miracoli con quel suo carico innegabile di mistero, allusione e illusione.
Giudizio: ***

(Sabato 30 Novembre 2013)
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