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Seconda regia di Scott Cooper

Il fuoco della vendetta

Film riuscito con un cast stellare


di Veronica Canalini


Vivere, o solamente esistere? Rodney e Russell sono due fratelli, vicini nell’amore sincero che nutrono l’uno per l’altro, separati drammaticamente dall’ incompatibilità di due modi difformi di intendere la vita. L’uno, il più piccolo, interpretato da un Casey Affleck ben calato nel ruolo, porta sulla propria pelle di giovane marine i brandelli della guerra, l’altro, il versatile Christian Bale dal talento ormai noto, lavora, corpo e anima, per guadagnarsi la propria dignità. La stabilità di un’occupazione umile (quella nella fonderia, la furnace del titolo, concreto quanto simbolico) non basta però a Rodney, che non vuole limitarsi ad esistere, dopo essere stato lacerato dal conflitto armato in Iraq. Inappagato dal normale flusso del quotidiano, che pure il fratello cerca di fargli apprezzare, in un’ottica sotto la quale non è lo straordinario a rendere straordinaria la vita, egli si fa orgogliosamente coinvolgere in una pericolosa serie di combattimenti clandestini.



Da qui il vero incipit de “Il fuoco della vendetta”, presentato allo scorso festival del film di Roma e arrivato nelle sale solo adesso, con quasi un anno di ritardo. Inizierà infatti il lungo percorso di Russell, detto “Slim”, vendicatore e redentore, verso un finale tragico, ma prevedibile. Si riesce con facilità a calarsi nella psicologia dei personaggi, prevedendone gli intenti e le mosse. Se da una parte risulta pregevole l’ottima caratterizzazione delle parti in gioco, di contro lo spettatore è privato di considerevoli colpi di scena. Eppure nonostante la scarsa originalità della trama e la facile conclusione, la pellicola può comunque dirsi riuscita. L’ottima recitazione degli interpreti, tra i quali anche “il sicario” Woody Harrelson, “lo zio” Sam Shepard, Willem Dafoe, Zoe Saldana e Forest Whitaker, insieme al buon lavoro di Scott Cooper alla sua seconda regia, fa si che lo spettatore venga coinvolto, e travolto, dal susseguirsi delle sequenze, senza badare a qualche banalità a livello di sceneggiatura.
La periferia americana, seppur con poca innovazione, è perfettamente messa in scena. Tra una battuta e l’altra, e in ogni inquadratura, viene alla luce tutta l’ipocrisia del sistema, l’ingiustizia e la giustizia fatta da sé, la venalità contrapposta alla modestia, i rapporti di convenienza all’affetto sincero.

giudizio: **



(Venerdì 5 Settembre 2014)


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