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L'ultimo giorno di una mente eccelsa

Pasolini

Ode ad un grande poeta


di Roberto Leggio


La fine è nota. Nella notte tra il primo e il due Novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini veniva ucciso all'idroscalo di Ostia da un ragazzo di vita. Pino Pelosi. La cultura italiana perse un grande pensatore, scrittore arguto, visionario regista cinematografico. Un poeta. Ma soprattutto un uomo. Abel Ferrara, regista italo-americano di fama internazionale, esploratore di corpi malati e di peccati umani, firma un biopic sul vate (perdonatemi l'epiteto) friulano, angelo caduto in Roma, tra il fango, la fame e la precarietà di un poetico mondo “coatto”, di malsana vita di strada. Lo fa raccontando l'uomo (il corpo?) nell'ultimo suo giorno di vita, dal sorriso radioso di sua madre, alla smorfia di dolore della stessa alla notizia della strazio del figlio. In mezzo ventiquattro ore che valgono una vita, passando dal caffè in un bar, un'intervista rilasciata a Furio Colombo sulla censura a Salò o le 120 giornate di Sodoma, la concentrazione su un romanzo incompiuto (Petrolio), un pranzo con amici (Laura Betti e Nico Naldini), una lettera a Eduardo De Filippo e giunta la sera l'incontro fatale in un ristorante sulla via Ostiense con il suo assassino. Poi il silenzio ed il buio della sua morte. Ventiquattro ore di vita vissuta che riannodano il passato del poeta della borgate, compiute sul viso scolpito di Willem Dafoe, tanto mimetico da sembrare il vero Pasolini.


Un film che pare una confessione. Un opera di luci e molte ombre, nella quale Abel Ferrara mostra tutto il suo “amore” per l'intellettuale che non c'è più, rincorrendo una sceneggiatura frammentata, come l'ultimo romanzo rimasto attaccato alla penna di Pier Paolo Pasolini. Un opera che è un omaggio, ma è anche (e soprattutto) un canto di morte, dove le prefiche potrebbero essere gli spettatori, ospiti graditi di un maestro di pensiero. Dentro una struttura circolare, il film di Ferrara si appiglia ai volti dei personaggi di contorno (amici, soprattutto colleghi) i quali possono raccontare l'uomo Pasolini, leggendolo come un libro aperto. Perché e soprattutto il poeta era lo scritto della sua opera umana. Leggere l'uomo è capire la sua arte, il suo pensiero, la sua degradazione. E la sua morte, ammantata tristemente ancor oggi di mistero, aumenta a dismisura, a quasi quaranta anni, il segreto della sua scomparsa. Un film quasi perfetto, che colpisce per l'onesta di un regista ammiratore delle sue opere, ma che sbanda in quei momenti in cui il reale si combina con il sogno, ma che si riprende nella tragicità “poetica” del funerale. Dove la lirica finisce il suo corso, tragica e scombinata che sia.

Giudizio ***



(Mercoledì 24 Settembre 2014)


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