 Un altro capolavoro dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne Due giorni, una notte Vita vera e cifra stilistica perfetta
di Veronica Canalini Insinuare lo sguardo in uno spioncino per aver l’occasione di osservare dal di fuori la vita che scorre autentica; esserne risucchiati di nuovo all’interno, in un vortice di emozionalità che non nasce dal dramma incalzato, ma da un puro realismo. E’ il breve sunto di ciò che accade allo spettatore di fronte ad uno qualsiasi dei film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, maestri indiscussi del cinema belga, che del Belgio superano con naturalezza i confini, in una narrazione vivida che parla un linguaggio universale. La cifra stilistica dei due cineasti è sempre inconfondibile, anche nel nuovo “Due giorni, una notte”, in gara per la palma d’oro al festival di Cannes ed ora finalmente, e per fortuna, distribuito nelle sale italiane. La vicenda è più attuale che mai: una donna lotta per tenere stretto il suo posto di lavoro, contro i profittatori e soprattutto contro se stessa, buona e fragile, troppo fragile in una realtà che non prevede spazio per la debolezza. Il rischio di far abuso di retorica e di incappare nel pietismo per i Dardenne non esiste, la macchina da presa è davvero quello che sempre dovrebbe essere: un occhio umano che si muove vigile e attento, ma anche profondamente partecipe del rapporto d’ intimità che si instaura tra l’immagine e lo spettatore.

Due giorni e una notte è il tempo che Sandra (Marion Cotillard, in uno dei suoi ruoli migliori per mimesi fisica e psicologica con il personaggio) ha per convincere i suoi colleghi a rinunciare ad un bonus di mille euro così che lei non venga licenziata dall’azienda di pannelli solari in cui insieme lavorano. Inizia un porta a porta che ci accompagna per tutto il film: Sandra non chiede solo un salario, Sandra chiede la vita. Il lavoro è continua motivazione a superare gli ostacoli del quotidiano che, più che all’esterno, si celano dentro di noi, è l’unico modo per sfuggire alla depressione sempre dietro l’angolo. Il desiderio stesso di lavorare le impedisce di lasciarsi andare, ogni pur piccolo successo le dà la forza di continuare, tanto che alla fine il risultato conta meno di quanto ci si aspettasse: “ci siamo battuti bene”, non siamo affondati nella disperazione, e nel convincere gli altri ad aiutarci ci siamo aiutati a ritrovare noi stessi. E’ un “noi” che parla di famiglia, quella famiglia che si stava spegnendo nel grigiore della malattia psicologica di lei, e che inaspettatamente, in quella che è potenzialmente una catastrofe, ritrova l’amore. Chi cerca l’evasione, chi cerca il meraviglioso, chi cerca l’intrattenimento non veda questa pellicola che parla di vita vera. “E’ un film realistico” è una frase che viene forse pronunciata troppo spesso, e impropriamente. Qui siamo di fronte alla purezza e all’essenzialità registiche più assolute, di fronte a caratterizzazioni così riuscite che Sandra, insieme a tutti gli altri, esiste anche al di fuori dello schermo. Niente colonna sonora per i Dardenne, solo canzoni che ci parlano a singhiozzi dalla radio, insieme ai rumori, e umori, della città.
giudizio: ***

(Domenica 23 Novembre 2014)
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