 Dal best seller allo schermo qualcosa sfugge... 50 sfumature di grigio Cinquanta sfumature di nulla...
di Roberto Leggio Cinquanta sfumature di.... niente. Anastacia Steele è un belloccia studentessa di college che per un favore ad una amica malata si improvvisa giornalista andando ad intervistare Christian Grey, giovane ventisettenne, miliardario, bello e tenebroso. Durante l'incontro una strana alchimia si sviluppa tra i due, così iniziano a frequentarsi non proprio da “innamorati”. Lui è amante del sesso spinto, abituato a dominare le donne con le quali ha rapporti sadomaso, non riuscendo a “spiegarsi” come Anastacia (Ana per tutti) riesca a tenergli testa non assecondandolo nelle sue fantasie erotiche. Lei, comunque, è attratta da quest'uomo virile dal passato oscuro, tanto che accetta (senza firmalo e con molte riserve) il contratto che farebbe di lei una concubina del sesso spinto. Ma fino a dove i due amanti potranno spingersi per reputarsi una “vera” coppia?

L'attesa di vedere sullo schermo le pagine uscite dalla penna di E.L. James (casalinga disperata da 100 milioni di copie) era altissima. Ma dallo pagina allo schermo qualcosa (tutto?) è andato storto. Così chi si aspettava pruderie da porno soft resterà deluso, come resterà deluso chi si aspettava sesso bondage spinto. Nel film non accade nulla di tutto questo e quando qualcosa si muove nella “stanza dei giochi” si tratta più che altro di qualche sculacciata, all'uso molto contenuto di qualche frustino o al massimo una cravatta grigia che lega le braccia della ragazza alla testata del letto, tra l'altro mutuata da American Gigolò. E anche nella scena clou nella quale Ana viene frustata con forza facendole capire di amare un uomo malato, tutto si liquefa in un gridolino privo di soddisfazione. Le famose cinquanta sfumature di “perversione” esaltate nel libro e citate pari pari nel film, si condensano in una insopportabile messa in scena nella quale manca il pathos e la voyeristica libidine che dovrebbe suscitare qualsiasi fantasia erotica. In pratica non siamo ai livelli di Nynphomaniac di Lars Von Trier (capace tra l'altro di essere autore anche nel sesso oltre misura), ma nemmeno dalle parti di 9 settimane e ½ (qui richiamato da una esplicitata citazione di “ghiaccio”), dove almeno Adrian Lyne riusciva con le luci, l'acqua e chiari scuri a rendere erotica una storia banalissima di un rapporto a “termine” tenuto assieme da evoluzioni sessuali. L'artista multimediale Sam Taylor-Johnson, qui regista di poco effetto, ci mette del suo non riuscendo a colmare lo spartiacque tra sesso e amore, non azzardando mai nel mostrare un organo sessuale, limitandosi perfino negli ansimi orgasmici. Che se ci pensiamo potevano essere sfumature per tenere sveglio lo spettatore...
Giudizio: *

(Giovedì 12 Febbraio 2015)
Home Recensioni  |