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Martin Luther King fuori dagli schemi

Selma

Le marce non violente che portarono il voto ai neri d'America


di Roberto Leggio


La marcia per la libertà. 1965. Martin Luther King ha appena vinto il premio Nobel per la pace, ma il suo popolo è ancora vessato, segregato e in certi casi privo di alcuni diritti civili. Uno tra questi è il diritto di voto, esistente sulla carta, ma non applicato soprattutto negli Stati del Sud. Con l'intento di dare definitivamente voce e dignità ai neri americani, King decide che la cittadina di Selma nell'Alabama, sia la porta da attraversare per giungere al cuore della questione. Creando un movimento ad hoc Luther King inizia la protesta, ma finisce in carcere con altre centinaia di persone. Per evitare altri guai, ci si mette prima il governatore Wallace (uno sgradevolissimo Tim Roth), che vieta qualsiasi altra dimostrazione nei dintorni; poi il presidente Lyndon Johnson (un bravissimo Tom Winkilson) che in animo “progressista” cerca di convincere il congresso a varare una legge per allargare il diritto di voto. Ma il paese è sordo e il movimento si rafforza decidendo di attuare una marcia pacifica da Selma a Montgomery attraversando il ponte di Edmund Pettus. La prima volta finisce in tragedia, la seconda Luther King ha come una illuminazione sulla via di Damasco e torna indietro. La terza volta, quando anche un giudice federale stabilisce che tutti hanno diritto a marciare per le loro idee, il leader dell'antiviolenza raggiunge l'obiettivo. Il 6 Agosto di quello stesso anno il presidente Johnson firma lo storico Voting Rights Act.


Senza l'austerità di santificare Martin Luther King (un mimetico David Oyelowo), Selma si affaccia alla storia ponendo in primo piano proprio il coraggio, la forza e la tenacia di un uomo che attraverso la non-violenza ha cambiato un paese intero, cercando il più possibile di renderlo civile e democratico. Ava DuVernay spoglia il mito e lo rende più umano, spirituale e con un gran senso dell'umorismo, mettendo in luce una serie di episodi che segnarono per sempre la lotta per i diritti civili. Nel suo film mette in scena quella coscienza civile collettiva, grimaldello ideale per scardinare i pregiudizi di una nazione da sempre in lotta con se stessa. Consegna alla storia, non la vicenda di un singolo, ma quella di un intero “popolo” che attraverso i dubbi, cedimenti, botte e omicidi, riuscì a piegare la barbarie di un paese in trasformazione. Senza contare che molto viene dalla forza propulsiva dei discorsi del leader nero, capace, anche con scelte impopolari; ad elevarsi a condottiero contro l'oppressione e la violenza. A posteriori, anche dopo la sua morte “sacrificale”, il grido di Martin Luther King è ancora più vivo che mai. Selma racconta tutto questo. E lo fa gran garbo, scegliendo di mostrare anche le sconfitte, i patemi dell'icona della tolleranza reciproca, come quando pone (quasi in maniera inedita) la fragilità fallibile del presidente Johnson, certo che le proteste di quei “diversi” americani, potrebbero far traballare il sistema, macchiandolo di sangue innocente.

Giudizio: ***



(Domenica 15 Febbraio 2015)


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