 I fratelli Taviani ripropongono Boccaccio per parlare della peste di oggi Maraviglioso Boccaccio Pellicola manierista ed elegante che non riesce ad emozionare
di Oriana Maerini Dopo l'Orso d'oro guadagnato nel 2012 con il magnifico Cesare deve morire gli ottantenni fratelli Taviani tornano a mettere in scena la loro toscanità per riscoprire l'attualità delle novelle di Boccaccio. Perchè la peste, sostengono i registi, non è ancora sconfitta ma si annida nella nostra società sotto forma di violenza brutale (Isis), guerra e stallo esistenziale dei giovani. Forse per questo il loro film sceglie di seguire una cifra melanconica e luttuosa piuttosto che "boccaccesca" e lussuriosa. Dopo un bellissimo prologo dove mostrano una Firenze inginocchiata e devastata dalla peste del 1348, i Taviani mettono in scena cinque storie tratte dalle cento del Decamerone, attraverso la narrazione di 10 ragazzi che per sfuggire alla morte lasciano la città e si rifugiano in un casolare in campagna. Qui, per esorcizzare la noia e l'angoscia decidono di raccontare delle storie inventate che narrano d'amore e di stupidità. I cinque quadri che ne conseguono sono film nel film che i narratori proiettano nella loro immaginazione. Quattro novelle parlano di sfumature amorose dove è quasi sempre la figura femminile a prevalere per dignità e coraggio, una tratta la beffa ai danni di un animo semplice.

La cornice scenica che ingloba la narrazione è "maravigliosa" e ci catapulta, per colori (eccellente la fotografia di Simone Zampagni), paesaggi e atmosfere direttamente nel rinascimento toscano ma il contenuto appare poco empatico, quasi stucchevole e manieristico. Forse per accattivare lo spettatore i registi hanno scelto come protagonisti delle loro storie i volti più noti e belli del panorama attoriale italiano (Scamarcio, Puccini, Cortellesi, Rossi Stuart, Trinca, Smutniak e Riondino) che non sempre riescono ad essere credibili nei loro ruoli. L'amore proposto dalle novelle non è mai lascivo ma quasi sempre "lenitivo" rispetto dell'atmosfera malinconica che vivono i narratori. Forse il più singolare è quello che rappresenta la possessività dell'amore paterno nell'episodio di Tancredi e la figlia (interpretato dalla coppia Arena - Smutniak) dove la ribellione ed il sacrificio della giovane è metafora di affrancamento e riscatto generazionale. Quello che sorprende in questa nuova versione del Decamerone, dopo quella pasoliniana del 1971, è l'ottica femminile che i Taviani imprimono alla messa in scena. Sono le ragazze che conducono il gioco, che decidono di lasciare Firenze, che impongono le regole della convivenza (anche quella della castità) e mantengono viva la gioia di vivere proponendo le novelle. Forse a voler significare che la speranza della vittoria sul male risiede nelle genere femminile?
giudizio: **

(Venerdì 27 Febbraio 2015)
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