 Non c'è nulla come i propri nonni The Visit L'apparenza inganna sempre....
di Roberto Leggio Nessuno ti ama come i “tuoi” nonni. Mandati in vacanza per una settima dai nonni mai conosciuti, due nipotini con velleità da cineasti, si ritrovano in un ambientate poco famigliare. La loro madre è fuggita da quella casa nella “prateria” quando aveva diciannove anni e da allora non ha mai più voluto avere a che fare con i suoi genitori. Eppure adesso, sono proprio loro a richiedere, la compagnia dei nipoti. All'arrivo i due “vecchietti” si dimostrano disponibili, ma ad una condizione: dopo le 21.30 tutti a letto senza fare rumore. Armati di una telecamera digitale e una macchia fotografica di ultima generazione, i due ragazzi scoprono pian piano le bizzarrie dei due progenitori. Lei striscia, urla e gratta i muri, lui si rinchiude nel capanno degli attrezzi e quando passeggiano al limitare del bosco sono attratti da un pozzo. Tra un forno da pulire e un divagazione terrorizzante di un nascondino, i due nipotini capiscono che la loro villeggiatura potrebbe trasformarsi in qualcosa di molto pericoloso.

Low budget horror di paranoia e follia nelle fredda ed innevata campagna della Pennsylvania. Per rilanciare la sua appannata vena “creativa”, Night M. Shymalan ri-scopre il found footage per raccontare la fiaba nera di due moderni Hansel e Grethel (cineasti in erba) alle prese con dei nonni “sconosciuti”. Cantine polverose, capanni chiusi a chiave, cibi ostentati e deliziosi, rumori notturni, vomito, fucili in bocca. Elementi che per un po' fanno pensare ad una strisciante invasione aliena, ma che poi, quando il “mistero” è svelato lascia abbastanza l'amaro in bocca. Perché non serve rimettere mano ad espedienti sul tipo Blair Witch Project o rifarsi alle inquadrature di Paranormal Activity (il produttore è lo stesso) a fare un buon film di genere. Ci vuole anche una storia che si regga sulle proprie gambe. E dato che stratta di un horror (psicologico, soprannaturale, inquietante, folle che sia) deve fare almeno un po' paura. Si, certo, in qualche sequenza si salta sulla sedia, ma tutto è talmente ordinario che vorremo qualcuno tornasse a vedere “gente morta”. A riempire certi vuoti sono le “composizioni” rap del nipotino più piccolo o le parolacce sostituite dai nomi di pop stars famose. Ma “ironia” a parte (c'è n'è anche troppa) si spera che il regista indiano ritrovi il suo innegabile “sesto senso”. Magari con un nuovo capolavoro. Oppure lasci perdere...
Giudizio *

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(Giovedì 26 Novembre 2015)
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