 In live-action un capolavoro di metafora ecologista Il libro della Giungla L'umanità degli animali è l'animalità degli esseri umani
di Roberto Leggio Adottato dalla lupa Raksha, dopo che la tigre Shere Khan le ha ucciso il padre, il cucciolo d'uomo Mogwli vive libero e selvaggio in armonia con la natura. Ma a lungo andare la sua presenza nella giungla diventa scomoda in quanto dotato di quell'intelligenza che porterebbe scompiglio (se non peggio) nel branco. A forzare questa possibilità è la stessa Shere Kahn, che sfigurata dagli uomini in volto, lo considera una minaccia e perciò a giurato di eliminarlo. Costretto a malincuore ad abbandonare la “famiglia”, Mogwli viene scortato verso il villaggio dei suoi simili dalla pantera Bagheera. Come mentore, il felino lo guida in una sorta di viaggio iniziatico alla scoperta di se stesso e del mondo animale che l'ha accolto e accudito. Ma lungo il cammino i due si imbatteranno in creature selvagge (alcune non proprio amichevoli), ma anche nel l'Orso perdigiorno Baloo e il Re delle Scimmie Louie, che tenta di costringere Mogwli a rivelargli il segreto del fuoco.

Forte della sua possente metafora ecologista, Il libro della Giungla torna sugli schermi in Live Action 50 anni dopo la sua versione a cartoni animati. E' ancora la Disney ha tirare le fila del capolavoro da premio Nobel di Rudyard Kipling che scrisse i vari episodi del romanzo criticando il colonialismo inglese in India, indicandolo come “demolitore” di culture e miti locali. A dirigere la versione odierna è Jon Favreau, che riposto nell'armadio l'armatura “dorata” di Iron Man, scava nell'umanità degli animali analizzando la voracità predatrice degli esseri umani, portatori spesso di morte e distruzione. A metà strada tra il Classico Disney del 1967 (dal quale recupera l'Orango Re Luigi) e la filologia “romanza” dell'opera di Kipling, il film ritrova i lupi, l'Orso Baloo, la Pantera Bagheera, il serpente Kaa (questa volta in versione femminile), il piccolo Mogwli e la Tigre Shere Khan, anima dominate in cerca di vendetta nei confronti degli umani che l'hanno reso cieco di un occhio. Si, perché tutto passa da li: dall'irragionevole natura umana, padrona del “fiore rosso” (il fuoco) capace, non solo di scaldare la propria civiltà, ma anche e soprattutto di distruggere quell'ecosistema, che in caso di bisogno e di necessità (la tregua dell'acqua data dalla siccità) è capace di convivenza sociale tra prede e predatori, quasi una chimera per gli esseri umani, sempre sul punto dell'autodistruzione. Nel suo viaggio di formazione per accettarsi come uomo tra le bestie, Mogwli, il cucciolo della razza in questo caso non dominante, è il trade d'union con le altre specie che l'hanno accolto e cresciuto come un “essere” pari a loro donandogli una famiglia giusta e amorevole. Il suo sguardo sulla natura, vitale e saggia (gli elefanti silenziosi a cui si deve reverenza essendo gli architetti del prodigio della vita) è quello di un testimone capace di osservare la coesistenza tra “diversi”. Non per nulla il finale a dispetto dell'originale amplifica il concetto morale ed esistenziale tra l'uomo e la natura che lo circonda. Un opera che va oltre la fiaba, anche perché almeno questa volta “l'umanizzazione” di favole immortali (come è di prassi nei tempi recenti) va al di là della semplice operazione commerciale. Inducendo a riflettere sul realismo immaginario proposto dal film.
Giudizio ***

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(Giovedì 14 Aprile 2016)
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