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Vittima sacrificale di un’ipotesi di reato

Il ragazzo della Giudecca

Il caso di Carmelo Zappulla arriva al cinema


di Roberto Leggio


Vittima sacrificale, vittima di invidia. Di umili origini, Carmelo Zappulla è un cantante neomelodico siciliano cresciuto a Napoli. Famosissimo in terra partenope e nel mondo, un triste pomeriggio del 1990 viene accusato da un pentito di mafia di essere il mandante di un omicidio eccellente. Incarcerato in una cella di isolamento senza un perché, l’uomo vive sulla sua pelle il peso di un reato che non ha commesso. Scagionato e tornato alla sua carriera professionale, viene nuovamente rinviato a giudizio con la richiesta di ergastolo, ma per paura di essere condannato si da alla macchia per quattro anni fino alla sua completa assoluzione.


Il dramma di Carmelo Zappulla, cantante neomelodico siculo/napoletano, finito nei guai per una falsa “testimonianza” di un pentito di mafia, assomiglia troppo da vicino alla travagliata vicenda di Enzo Tortora. Ma se il famoso presentatore televisivo una volta terminata la carcerazione ne morì, Zappulla non solo vinse per non aver commesso il fatto, anzi ora vive contento e felice calcando i palcoscenici di mezzo mondo. Una storia a lieto fine, sebbene la tragicità della vicenda che gli dannò l’anima e la vita professionale per quattro anni. Un film verità, autobiografico per quanto riguarda il caso giudiziario, analizza la parabola umana di Zappulla, vittima, carcerato, fuggitivo e poi giudicato non colpevole in latitanza, in contrapposizione di un procuratore distrettuale giustizialista e un belloccio detective che fecero di tutto pur di trovare un appiglio per la sua colpevolezza. Nel mezzo tante false piste costruite ad arte da uomini di pochi scrupoli che volevano incastrare il cantante senza un vero perché, forse e probabilmente solo per invidia. Una vittima sacrificale in virtù di una amicizia “pericolosa” con un boss amico d’infanzia, che lo “protesse” finché restò in vita. Un’opera tratta dal romanzo biografico dello stesso Zappulla, nel quale raccontò nel bene e nel male la sua disavventura di innocente proveniente da quartiere Giudecca di Napoli. Peccato però che la denuncia civile che il diretto interessato fa delle istituzioni, non sia così pregnante nella sua versione cinematografica, diretta tra l’altro senza una vera idea di regia da Alfonso Bergamo. Non si entra mai nelle corde della vittima, così come si resta basiti nel vedere la performance di Tony Sperandeo, procuratore del tutto sopra le righe, uomo di giustizia da fumetto, che si comporta da villain da fumetto e parla in metafrasi caricaturali da cartone animato. Della stessa sostanza dei suoi collaboratori, tutti uomini e donne d’un pezzo, talmente falsi nella loro caratterizzazione da risultare parodistici. Totalmente differenti, invece i loro contraltare della difesa di Zappulla (tra l’altro recitato da se stesso per dare più profondità e credibilità al personaggio sebbene perennemente con l’espressione da cane bastonato) formato da un manipolo di perdenti capitanato da un avvocato dal gomito facile che in fase di arringa riuscirà a declamare una requisitoria degna d’antologia. Con qualche idea in più e con soluzioni più coraggiose, il film sarebbe stato un possente apologo sulla giustizia italiana, soprattutto quando si fida ciecamente dei collaboratori di giustizia. Invece si perde in un banalissimo dramma che piuttosto di graffiare si limita a far prudere le mani.

Giudizio *




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(Venerdì 13 Maggio 2016)


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