La rabbia dell'America allo sbando. Negli anni cinquanta Jerry Levov, lo Svedese per i suoi capelli biondi, è un ragazzo fortunato. Figlio ricco di ebrei che amano il prossimo senza distinzione di razza e di religione è bello, brillante a scuola e idolo sportivo per tutti. Il volto pulito e sereno del tipico americano arrivato. Ha perfino una moglie Miss New Jersey, con la quale, amato e riamato a sua volta, concepisce Mary, figlia adorata, adolescente acuta e quasi da subito molto "attenta" al mondo che la circonda. La sua fortuna, e quella del paese intero, inizia a disgregarsi quando, in parallelo con lo scoppio della guerra del Vietnam, iniziano le lotte sociali, l'emancipazione dei neri e la feroce e violenta ribellione della figlia che decide di portare “la guerra dentro casa”. Come la “terra dei padri” viene sconvolta, la vita dello Svedese va definitivamente in pezzi. Trenta anni dopo, per puro caso, uno scrittore scoprirà la sua storia e cercherà di dare un senso alla “Pastorale Americana”.
La deflagrazione del sogno americano. Ci sono molte ipocrisie e molte contraddizioni nel romanzo di Philip Roth (premio Pulitzer 1997), che mostra come l'American Dream dei sorrisi, delle macchine lunghissime dai colori pastello, dei bellocci ipervitaminizzati capaci in tutti gli sport e nella vita; non sia altro che una bolla di sapone pronta a scoppiare da un momento all'altro. Se poi inquadriamo la storia nel periodo della guerra del Vietnam, ecco che comprendiamo la sua vacuità e le falle di un “sistema perfetto”. Se da una parte c'è l'America del Welfare, delle piccole aziende (in questo caso di guanti di pelle) che danno democraticamente lavoro a tutti (anche ai negri “proletari”); dall'altra parte c'è una grande massa di arrabbiati che sente dentro di sé il peso di una nazione lontana, persa nel proprio egoismo, nella propria forza “militare” e nella propria “mitologia”. Ewan McGregor, il ragazzo che fu Renton il drogato di Trainspotting e il maestro jedi Obi-Wan Kenobi, si mette in gioco sia come attore principale e come regista prendendo le redini di un'opera spiazzante, decadente ed illuminante, mettendo in scena la dissoluzione di una famiglia e di un paese intero. La fine evocativa dell'American Beauty. Si tratta di un film coraggioso, tratto proprio da un romanzo audace. Anche troppo. Ma è palese che McGregor essendo scozzese, cioè europeo; ha tutta la sensibilità per focalizzarsi in un “universo” senza più punti di riferimento, lontano anni luce dalle radici del paese delle “innumerevoli” possibilità. La risposta, forse, è proprio nella ribellione della figlia del protagonista che sfuggendo dalla famiglia, dalla bandiera e volendo anche da se stessa, pone la domanda più grande: cosa è veramente l'America?
Giudizio ***
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