 Emozionante concerto dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma Bartòk e Kavakos Paavo Jarvi, direttore estone di grande passione.
di Mario Dal Bello  Roma. Oltre un’ora di solo Bartòk è una esperienza che rimane. Prima, la Suite di danze e poi il Concerto n. 2 per violino e orchestra del compositore ungherese. Musica aguzza, che sfodera timbri incisivi, affascina come poche per la sua contemporaneità. Eppure, le Danze sono del 1923 e il Concerto del 1938. Ma Bèla Bartòk affonda le radici ungheresi delle danze in un microcosmo di suoni che rimandano a certa pittura cubista e affascinano, perché alternano suadenti adagi con impennate dell’intera orchestra che Paavo Jarvi, direttore estone di grande passione, tiene compatta come un solo mosaico. Il violino di Leonidas Kavakos, greco di Atene, è uno Stradivari del 1724, e si sente. I tre tempi “classici” del concerto hanno poco o nulla di classico. Semplicemente perché l’armonia classica si è frantumata in un incendio che getta fiamme ovunque. Kavakos è gran virtuoso, lo si sa. Ma qui quasi non riesce a frenarsi tanto è l’entusiasmo che ci mette nel far vibrare, scuotere, correre e impazzire lo strumento nella musica iridescente, dissonante (che splendida dissonanza del cuore e non del cervello!) che ha ben poco di tranquillo, anche nel secondo movimento “andante tranquillo”. Questa è musica del presente e del futuro, ispirata, direi planetaria. Dopo aver sentito Bartòk e il violino di Kavakos ci si convince di due cose: primo, che l’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma è di una bravura che fa paura, e poi che Bartòk-Kavakos insieme funzionano perfettamente, facendoci entrare in stupefacenti universi sonori. Merito del direttore,pure, che sa concertare con il violinista e poi si sfoga nella ondulata Seconda Sinfonia di Brahms, trascendente.
(Sabato 18 Marzo 2017)
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