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La crisi esistenziale e cybernetica del Robot

Ghost in the Shell

Futuro Cybergpunk identico al mitico anime (giapponese)


di Roberto Leggio


La vita in un corpo “modificabile”. In un futuro levigato (ma sporco e cattivo) gli umani aspirano all'amplificazione delle loro facoltà grazie a impianti cibernetici. L'agente speciale Major è a capo di una task force antiterrorismo che deve sventare i piani dei più pericoli criminali al mondo. Unica nel suo genere, Major è un cyborg con il cervello di un essere umano, salvata dalla morte del suo corpo. Perfetta macchina da guerra, si trova ad investigare su Kuze, un hacker capace da insinuarsi nelle menti cibernetiche fino a ad assumerne il controllo. L'indagine però ha un risvolto legato al suo passato che metterà in crisi la sue certezze e la sua stessa esistenza.


Cogito ergo sum...Robot. Il fantasma nell'involucro è questo. Un cervello umano impiantato dentro una scorza meccanica. La migliore in assoluto. Cioè unica. Come il manga anime giapponese che meglio spiega il mondo dispotico freddo computerizzato del futuro, il film di Rupert Sanders gioca fin dall'inizio sulla chiarezza assoluta che spinge il cyberagente Major della Sezione 9 antiterrorismo a capire se stessa, il suo essere ed il suo passato, cosi da rendere lineare la trama intricata della storia originale. Sanders va sul sicuro, così da non disperdere energie e comprensioni da parte del pubblico, riprendendo pari pari alcuni “incroci obbligati” presenti nell'anime di base, pantografando perfino alcune situazioni e scene d'azione. Ottimo nella resa scenica , soprattutto nelle scene d'azione il film non approfondisce le implicazioni etiche (e i dubbi) di un'anima umana all'interno di un esoscheletro robotico. Domanda filosofica non da poco soprattutto quando Major nel suo mondo cyberpunk prende coscienza del proprio essere e del suo “essere “unica del suo genere. In questa maniera il film perde in spessore mostrando qualche sbavatura di troppo da rendere noiosi alcuni dettagli esplicativi. Scarlett Johansson è perfetta nel ruolo di cyborg con il suo “ghost” (la sua anima); ma a rompere lo schermo è Takeshi Kitano (che recupera perfino il nomignolo “beat”), la cui sua “magnifica presenza” permette al film di volare alto e omaggiare il suo cinema ironico e piacevolmente fuori di testa.

Giudizio **1/2



(Giovedì 30 Marzo 2017)


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