 Fantascienza pan-stellare, barocca e stucchevole Valerian e la città dei mille pianeti Immaginifico e ironico, ma troppo fumettistico
di Roberto Leggio Nel 28° secolo, Valerian e Laureline sono due agenti interstellari che svolgono incarichi per conto del Ministero della Difesa. Spediti sull’ex colonia spaziale Alpha, agglomerato di tutte le culture e le specie della galassia, devono scortare il comandate Filitt che si sta preparando a sferrare un attacco ad un nemico misterioso annidato nelle viscere dell’enorme città stazione. I due non sanno però che qualcosa trama alle spalle di tutti e presto si ritroveranno a dover sventare un complotto che potrebbe destabilizzare l’intera galassia.

L’incipit dedica-omaggio a David Bowie (Space Oddity suonata per intero), dello sviluppo dell’umanità nello spazio e la nascita di una città-arca capace di accogliere molteplici razze extraterrestri, pone da subito le basi per una fantascienza pan-stellare come poche si sono viste sullo schermo. Debito-credito anche alla galassia di Star Wars, ma lì le cose erano diverse. Il quadro è quindi ben definito, ma il “progresso” ambientato 600 anni nel futuro, dove tutto o quasi è virtuale (come insegnano i primi eccezionali primi venti minuti di film), gira attorno ad un noir ipercinetico e ironico (che strizza fortemente l’occhio al Quinto Elemento), molto accattivante e rocambolesco da restare ingabbiato nella sua innegabile spettacolarità. Tanti effetti speciali senza però emozione che si amalgamano in una trama un po’ troppo farraginosa. Tratto da un serie a fumetti che emozionò Luc Besson bambino, supplisce nella sua struttura anni ’70, da non essere aderente al “continuum spazio-temporale” dei Marvel e DC Comics Movie, che tanto non piacciono al regista francese. E anche il messaggio ambientalista e umanista, che immagina lo spazio e la città pan-culturale come culla di amore e uguaglianza, si annacqua in belle immagini e buffi alieni dalle più fantasiose fattezze. Barocco e in parte stucchevole, Valerian e la città dei mille pianeti, finisce per ripiegarsi nella fantasia che lo compone, fallendo in parte lo sforzo personale e fanciullesco di Luc Besson (che ha impiegato vent’anni per realizzare il suo sogno bambino).
Giudizio **

(Mercoledì 20 Settembre 2017)
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