 La ferocia al tramonto del West Hostiles Odissea Americana di compassione e tolleranza
di Roberto Leggio Il sangue mai pacificato di una nazione. Alle soglie della pensione, al capitano Blocker viene affidata l’ultima missione direttamente dal presidente degli Stati Uniti: scortare il capo Cheyenne Falco Giallo, malato terminale di cancro e la sua famiglia, da un isolato avamposto in New Mexico fino alla riserva della loro tribù in Montana. Nemici di vecchia data (entrambi hanno visto morire amici e compagni per mano uno dell’altro), i due affrontano una sorta di Odissea tra quello che resta del selvaggio West. Durante il viaggio, non privo di pericoli, si imbattono in una giovane vedova, i cui cari sono stati assassinati da una banda di Comanche ladri di cavalli. Assieme proveranno a sopravvivere a quei paesaggi spietati e all’ostilità delle tribù indiane, la ferocia di banditi e allevatori di bestiame e saranno costretti a mettere da parte i pregiudizi, unendo le forze, scoprendo il valore della compassione e della tolleranza.

I lupi non ballano più. La frontiera è scomparsa e l’industrializzazione e l’inurbamento sta cambiando faccia al Grande Paese. I pellerossa sono stati sconfitti e chi è sopravvissuto è stato rinchiuso in riserve. Il West, in pratica è tramontato. Ma il bianco e l’indiano, sono ancora gli ultimi filamenti di una storia leggendaria che li a pochi anni riempirà pagine di romanzi e fumetti d’avventure. Eppure, il loro mito, prima che diventi tale, li lega in maniera indissolubile. Hostiles è un western come quelli di un tempo, con pistole fumanti, morti ammazzati, praterie, deserti e qualsiasi “tipo” di natura selvaggia. Ma è soprattutto una dolente storia di due nemici sui quali pesa il sangue del passato. L’uomo bianco è un ruvido capitano dell’esercito che ha fatto del suo lavoro una serie di indicibili barbarie; l’uomo rosso è un vecchio, malato, stanco e saggio massacratore di bianchi per la difesa dei suoi territori. Entrambi vivono con il peso dei propri orrori e che adesso, per una scelta “politica” di “patriarcale” riconciliazione, si ritrovano ad effettuare (ognuno con i propri fedelissimi) un viaggio verso le praterie che dovranno accogliere il corpo dell’indiano ormai alla fine dei suoi giorni. La malinconia fa da contrappeso a questa “Odissea Americana” pieno di silenzi, contemplazioni notturne, prese di coscienza, che più si avvicina alla meta, più si riempie di sangue, violenza, furia e terrore. In quanto è più feroce la convivenza tra bianchi, che l’agognata pacificazione tra i due massacratori. Privo di speranza (tranne per l’ultimo afflato finale) il film di Scott Cooper rimanda all’America di Trump, condita oggi come allora di odio, intolleranza e paura. Non per nulla il senso dell’opera è racchiuso nell’esergo di D.H. Lawrence “Nella sua essenza, l’anima americana è dura e solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita.” In questo senso tutti sono ostili: bianchi e pellerossa, indiani e indiani, bianchi e bianchi, in un cerchio di sangue che pare non abbia mai fine. Un elegiaco canto di morte, che scava nelle viscere di un paese spietato, ancora tutto da capire e da costruire.
Giudizio ***

(Martedì 20 Marzo 2018)
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