 Er Canaro, ancora lui… Rabbia Furiosa - Er Canaro Violenza, sangue e (tremenda) vendetta…
di Roberto Leggio “Temete l’ira dei mansueti, perché essi riverseranno verso di voi tutto quello che hanno subito”. Esergo dotto tratto dall’Apocalisse, che racchiude la rabbia repressa di Fabio, canaro del Mandrione che per otto mesi ha scontato la galera al posto di Claudio, amico ed ex pugile, delinquente in erba con mire da boss in una delle tante periferie di Roma. Claudio è un ragazzone, grande,grosso, violento e prepotente, trafficante di tutto quello che li capita a tiro, gestore perfino di combattimenti tra cani. E quando essi ne escono con ferite, si rivolge a Fabio, che in maniera clandestina nel retrobottega del negozio di toletta per cani, li rimette a posto con medicazioni e operazioni chirurgiche. I due sono legati da una forte amicizia al limite dell’ambiguità, che sfocia spesso in una sorta prevaricazione nei confronti di Fabio, il quale subisce senza reagire. Ma un giorno, quando Claudio gli ha fatto terra bruciata attorno, il mite Fabio attua una terribile vendetta e il sangue scorrerà a fiumi.

Er canaro, ancora lui. Dopo Dogman il film di Matteo Garrone, ecco il film gradasso e coatto di Sergio Stivaletti. Sono passati esattamente trent’anni da quando “Er canaro della Magliana”, un uomo senza arte ne parte, vessato da un ex pugile; portò a termine la sua vendetta tagliandolo a pezzi nel retrobottega del suo negozio di tolettatore di cani. Non si capisce come mai due film, escano a distanza di giorni, su questo caso di cronaca bestiale che inorridì la capitale e l’Italia intera. Dogman è un capolavoro assoluto di violenza psicologica, più pensata che mostrata; ma anche di una solitudine senza fine che cerca in un atto estremo una rivalsa umana e poetica. Il film di Stivaletti, al contrario, va alla base del problema, alla violenza in tutte le sue forme: verbale, fisica e omicida. Se il film di Garrone lavorava a togliere, quello di Stivaletti, invece la violenza riempie la scena in un film lunghissimo, strabordante, dove la storia viene rienvitata, o meglio riscritta, sul come possono essere andate le cose nella realtà. Se Dogman la poesia animale rendeva tutto più fluido, il film di Stivaletti si inceppa proprio nel mostrare la pornografia della violenza. Stivaletti infatti immerge il suo film nei cliché più classici: un uomone grande e grosso, tanto violento quanto grottesco e un omino, per nulla solitario ma schiavizzato, che sopporta fino all’inverosimile le angherie del suo aguzzino. La sudditanza del rapporto tra i due è mostrato fin dalle prime scene, da quanto, liberato per un crimine che non ha commesso, riceve da subito violenze verbali. Il film nella sua prepotenza fisica, vuole plasmarsi e omaggiare quella periferia romana dimenticata come l’avrebbe descritta Pier Paolo Pasolini. La storia ad ogni modo non è ambientata alla Magliana, ma al Mandrione, una periferia aliena e volendo “oscena” con le sue regole non scritte in questa città paesone che è Roma. Un film di “gente” cattiva, dove l’unica persona umana è un meccanico straniero, chiamato “lo sceriffo”, in qualche modo guarda spalle dell’omino che poi compierà un macello di rabbia e di sangue. La storia di Stivaletti avanza per accumoli, in quanto la rabbia animale del prepotente viene sviscerata in tutte le sue forme (anche un po’ ridicole), fino agli ultimi venti minuti nel quale nulla viene risparmiato allo spettatore. Un po’ come Harry Pioggia di Sangue, il film che Nanni Moretti metteva alla berlina per la sua inutile crudezza iperrealistica. L’intellettualismo di Garrone, in questo caso viene a mancare ed il film di Stivaletti si promuove ad opera ad uso e consumo di un pubblico che va al cinema per pura curiosità, senza pensare, senza capire, senza realmente vedere...
Giudizio *

(Martedì 5 Giugno 2018)
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