 Umanissimo ritratto di astronauta The First Man Il dolore, la forza e la passeggiata sulla Luna
di Roberto Leggio Pretendersi la Luna, per ritrovare se stesso. Agli inizi degli anni ’60, Neil Armstrong è un ingegnere aeronautico e aviatore americano, che dopo la morte prematura della sua bambina, si impone di partecipare al programma Gemini, con lo scopo di sviluppare le tecniche necessarie per affrontare i viaggi spaziali in competizione con l’Unione Sovietica. Selezionato per le sue capacità come comandante delle missioni Apollo, Neil diventa il primo civile a volare nello spazio mentre sulla terra le tensioni sociali sono altissime e la guerra del Vietnam miete vittime a non finire. Tra incidenti tecnici, lutti e caparbietà, Neil Armstrong, nei suoi meditabondi silenzi arriverà dove nessun uomo mai è stato prima, diventando il primo uomo a mettere piede sul suolo lunare.

C’è ancora senso parlare ancora oggi della Luna, quando ci stiamo appropinquando a mettere piede su Marte? Si, in quanto possiamo capire le difficoltà dell’uomo a viaggiare nello spazio e giungere dove “mai è stato prima!” The First Man di Damien Chazelle è un film più viscerale che di fantascienza. Racconta di come Neil Armstrong, un civile, che con un lutto nel cuore, si mette a disposizione della Nasa per giungere sulla Luna. La storia inizia nel 1961, quando i Russi hanno conquistato lo spazio e gli Stati Uniti sono rimasti a guardare. Armstrong è ingegnere aeronautico ed ex aviatore che vola nei cieli e sogna lo spazio, per sconfiggere il dolore e colmare il vuoto di una figlioletta morta di cancro. Un vuoto che si porterà perfino sulla Luna. Un vuoto che servirà a riconquistare l’amore della moglie, devastata anch’essa da quella perdita indicibile e salvare se stesso dalla depressione. Arrivare sulla Luna non è stata una passeggiata, ma una prova di forza portava avanti da scienziati, tecnici e naturalmente da astronauti votati all’avventura e ad un possibile sacrificio. Tramite una sceneggiatura zeppa di tecnicismi e tensione, Chezelle trova un linguaggio cinematografico fatto di movimenti di camera frenetici, disturbanti vibrazioni, primi piani, silenzi; portandoci all’interno di navicelle, fragili e instabili, sempre pronte a disintegrarsi alla prima occasione. Oggetti angusti, che più di volare nel buio dello spazio, si limitano a rimbalzare nell’atmosfera o essere espulsi da essa e perdersi nell’infinito. Il film mostra il sacrificio di tanti e la caparbietà di pochi, fino al quel finale struggente ed eccezionale, dove perfino il LEM (il trabiccolo che trasportava Armstrong e Aldrin sulla Luna mentre Collins attendeva nella navicella per riportarli a casa) ebbe non pochi problemi a posarsi sulla superficie aspra e rocciosa del satellite. La scaletta che si bloccò all’improvviso; restando così un po’ sospesa nell’immobile atmosfera; e quel saltino che Armstrong fece per raggiungere il suolo polveroso ed essere il primo uomo a mettere il proprio piede in un “altro” posto totalmente buio e dire la famosa frase “Un piccolo passo di un uomo, un grande salto per l’umanità”. Nella sua essenza il film parla proprio di questo: una corsa allo spazio per chiudere definitivamente la partita con l’Unione Sovietica e la voglia di varcare i confini non solo quelli siderali, ma anche quelli del buio dell’anima.
Giudizio ***

(Mercoledì 24 Ottobre 2018)
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