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La difficoltà di essere diva

Judy

Oltre l'arcobaleno è un oceano di tristezza


di Roberto Leggio


I tempi dell'arcobaleno sono finiti. Judy Garland è ancora un nome che suscita ammirazione, ma nel 1969 pare non interessi più a nessuno. L'età d'oro del grande cinema americano si è sbiadito e lei (come molte altre stelle di Hollywood del passato) vaga da sola in attesa di un nuovo ingaggio che non arriva mai. Distrutta dalla vita, con quattro matrimoni alle spalle, senza più la voce di una volta e ritenuta inaffidabile dai grandi Studios, per amore dei figli piccoli (Lorna e Joey) accetta di una tournèe canora a Londra per cinque settimane. Lontano da casa, dagli affetti, debilitata nell'intimo ritorna a calcare il palcoscenico assieme ai fantasmi del suo passato che la perseguitano da sempre.


Dal Regno di Oz alla precarietà. Del successo. Della vita. La parabola “discendente” di Judy Garland, cantante e attrice, madre di Liza Minnelli, famosissima interprete del Mago di Oz come Dorothy Gale, non è solo una biografia. Ma è anche una potente accusa verso quegli Studios (la Metro Goldwyn Meyer in primis) che allevavano i propri attori come polli, utilizzandoli come meglio potevano fino allo stremo, strizzandoli sul set e nell'intimo. Il film, superbamente interpretato da Renèe Zellwegger, racconta l'ultima tournèe inglese di Judy Garland per una serie di concerti “tutto esaurito” per cinque settimane al club “Talk of the Town” di Londra. La costruzione del film è più o meno quella di Stanlio e Ollio (film sulla coppia di comici sulla via del tramonto, ormai inattivi negli Stati Uniti, ma ancora famosissimi in Europa), dove la diva, ormai senza voce e schiava dell'alcol, degli ansiolitici e dei barbiturici, affronta i fasti della sua notorietà, agitando i fantasmi del suo passato da superstar. E' il giusto collante per esaminare quanto la “falsità” del set entrò di prepotenza nella sua vita, come quando quando le fecero compiere gli anni mesi prima durante le riprese di Oz con una torta di cartone. L'effimero della finzione è l'assioma perfetto per evidenziare la controversa esistenza di una diva ormai quasi del tutto “dimenticata” inghiottita dal sistema che l'aveva resa celebre. Senza soldi, con la paura che l'indigenza le possa togliere i figli più piccoli, strangolata dai debiti e con una vita sentimentale tormentata, Judy è una farfalla non più capace di volare da sola. Calca il palcoscenico perché il bagno di folla è una sensazione irresistibile ma quando canta e per come canta, la sua vita le scorre addosso, ripensando a quello che era e quello che potrebbe essere. Senza grandi guizzi di regia, Rupert Gold affida la sua opera solo ed esclusivamente alla capacità camaleontica della Zellwegger, impostando la vicenda su due piani narrativi, nei quali il presente non è altro che l'estensione di un passato che le rubò l'infanzia e la completezza di essere una ragazza normale. Triste e commovente, non lesina in drammaticità facendo leva sulla personalità di una bambina/ragazza/donna che ambiva ad andare oltre l'arcobaleno ed invece si ritrovò a conquistarsi (in modo per nulla consolatorio) un posto negli immortali di Hollywood lontano da casa, dagli affetti e forse anche da se stessa.

Giudizio **1/2



(Giovedì 30 Gennaio 2020)


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