 Il nuovo film di Marco Filiberti Parsifal Un'opera complessa cesellata con infinita cura
di Mario Dal Bello Difficile recensire l’”opera cinematografica” dell’autore milanese, personalità colta e complessa, che in 135’ rivisita in modo personale – e forse autobiografico – la leggenda cristiana del “puro folle”, partendo dal lavoro wagneriano - citato, ovviamente (insieme a R.Strauss, Bartòk, Britten) – ma non facendone una copia, bensì una reinterpretazione o meglio un punto di partenza che vorrebbe essere attuale. Anzi, un messaggio convinto da proporre alla nostra umanità disumanizzata dall’apocalisse in una terra desolata. I riferimenti culturali sono molteplici: la bibbia, Eliot, Testori, Giovanni della Croce e molti altri, per non dire di quelli cinematografici, da Dreyer a Fassbinder o coreografici. Ne esce un poema fluviale in cui la vicenda della ricerca del Graal in realtà ha certo importanza ma forse non così cogente, perché l’opera “totale” che spazia nei secoli- dal Medioevo all’età del Decadentismo di fine ‘800 (prevalente) per giungere agli anni Trenta del ‘900 -, sembra servirsi dei personaggi, da Parsifal a Kundry, da Amfortas/Filiberti ad Elda e Senta,da Palamede a Cador, per tracciare un itinerario umano con salti spazio-temporali dall’ossessione del desiderio (erotico) alla libertà dell’agape, ossia dell’amore puro nella dimensione dell’”adesso”, in una ricerca di spiritualità post-cristiana e quasi panteistica.

Munari in una scena del film
In un simile lavoro, cesellato con cura infinita, è evidente che possano esistere alti e bassi. Da un lato una fotografia splendida e poetica, dalle bellissime luci, con inserti lirici: Parsifal in viaggio nella natura, tra nevi o campi grano, con un bambino, sott’acqua, l’incipit nebbioso del film, il colloquio con sé crocifisso, gli interni delle chiese e degli ambienti (la taverna-bordello tuttavia un po’ patinata), gli spazi del cielo…. Dall’altra, dialoghi troppo letterari e poco comprensibili, lo sguardo troppo compiaciuto sui corpi (anche nelle – necessarie? - contorsioni sessuali), un clima estetizzante insistito e l’eccessiva durata con diversi finali, che rendono il lavoro, per quanto visivamente fascinoso, difficile da seguire, quando invece dovrebbe uscire dalla nicchia e immedesimarsi in un viaggio nel reale che non sia solo una esperienza estetica, per quanto preziosa. Il film è recitato con grande convinzione dai giovani attori ben guidati, anche se con il rischio talora di una certa teatralità “danzante”: Munari,protagonista di un ruolo difficile e variegato, vibrante specie nei momenti di follia; Diletta Masetti, molto coinvolta e credibile (forse meno nelle scene”mistiche”), la coppia dei marinai Tanganelli e De Giorgi – molto sciolti e piacevoli-, la coppia disinvolta femminile Crucianelli e Solferino. Forse il regista avrebbe potuto affidare la parte di Amfortas ad un altro attore e non a sé stesso? Chissà. Parsifal è dunque lavoro ampio, complesso, che esige da parte dello spettatore un impegno totalizzante, che purtroppo ne limita la fruizione, più riuscito nella parte “terrestre” che in quella “mistica”, portatore di una quasi nuova-religione. Gli nuoce il voler dire tutto e il percolo di lasciarsi sommergere dalla ”cultura”. Ma resta un unicum nel nostro, a volte poco coraggioso, panorama italiano.
giudizio:***

(Giovedì 23 Settembre 2021)
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