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L’insostenibile pesantezza della sopravvivenza

Squid Game

Giochi di bambini (con morti)… metafora di divisioni sociali


di Antonio Giordano


Facciamo cosi. Fingete di essere senza soldi, con gli strozzini alle calcagna e senza la minima prospettiva di miglioramento. Fatto? Bene, ora sappiate che esiste un modo molto semplice per uscire da questa situazione: prendere questa inutile e sofferente vita e... scommetterla. Si, mettere sul piatto la propria sopravvivenza in cambio di una quantità di denaro talmente esorbitante da pensarci davvero. Questa possibilità, questo compromesso, rappresentano la nascita della serie più vista della storia di Netflix. Spensieratezza giovanile e Mondo Crudele. Legami e Individualismo. Sopravvivenza e morte. Ricchezza e povertà. Squid Game è una serie che vive di contrasti, interni ed esterni, infatti, è tutt'ora terreno di scontro tra i cultori, che accusano il grande pubblico di essersi avvicinato al cinema koreano per Hype e non per gusto personale, e i novizi, che semplicemente ed ingenuamente, la considerano un capolavoro. È innegabile il crescente interesse per la Sud Corea avvertito da Parasite (inspiegabile come non sia arrivato per titoli come Oldboy, Ferro 3, Pietà... ecc.), sensazione già percepita come "fascino dell'esotico"( vedi: La Casa De Papel).


Il gioco del calamaro (traduzione dall’originale), mette in scena le ingiustizie e le disparità sociali di un paese estremamente capitalista, che spesso lascia indietro il bisognoso. Non c'è spazio per l'amicizia davanti ai morsi della fame, ti svegli cercando di sopravvivere sperando in qualcosa che spezzi lo status quo. Persino l'inferno sembra essere un luogo più accogliente che le mura della propria casa. Non sono risparmiati neanche i ricchi, che a causa della forbice economica sempre più larga possono permettersi tutto, vivendo una vita senza stimoli, che li porta ad una apatia talmente forte da annientare la propria umanità, pur di provare qualcosa. La serie di Hwang Dong-hyuk è un prodotto oggettivamente godibile, pur avendo grandi problemi di regia, con una fotografia molto colorata, apprezzabile sia dai cineasti di primo pelo e dai malati del genere. Un giocattolo imperfetto, sia nell'intreccio (esageratamente prevedibile), che nelle scelte, a volte al limite del comprensibile (come il finale) che però vengono esaltate dal grande pubblico per via dell'euforia del "mai visto". I personaggi, ad esempio, risultano troppo inquadrati nei tratti standard della cultura asiatica (il genio occhialuto, il protagonista ingenuo ma buono, la ragazza sgorbutica tsundere, il cattivo tatuato modello yakuza ) e questo ne riduce lo spessore. La trama, poi, fatica a scorrere in maniera fluida, incappando in forzature fin troppo pesanti che sgonfiano un pathos già minimo. Come se non bastasse, a tutto questo, bisogna aggiungere una totale impossibilità di empatizzare con i protagonisti, clamorosamente poveri di profondità, e che non creano alcun tipo di disprezzo nei confronti di quelli che dovrebbero essere i cattivi. Insomma squid game non è un capolavoro, ormai lo abbiamo scoperto, ma questo non vuol dire che non sia, forse, il punto di partenza di un filone che marchierà a fuoco i nostri tempi, e perché no, la consacrazione di un cinema troppo spesso sottovalutato.

Giudizio **1/2



(Venerdì 29 Ottobre 2021)


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