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Aspettando l'Oscar

Niente di nuovo sul fronte occidentale

Candidato a 9 Oscar, primo film tedesco tratto dal capolavoro di Remarque


di Roberto Leggio


Scrivo soltanto adesso dopo tre mesi dalla sua programmazione su Nerflix. Scrivo di conseguenza alle nove candidature all'Oscars, di un film tedesco tratto dal capolavoro di Erich Maria Remarque. Il film Niente di nuovo sul fronte occidentale è la terza trasposizione di un romanzo mitico scritto nel 1929 dopo la Prima Guerra Mondiale. Lo scrittore aveva combattuto in trincea proprio nelle Somme, palcoscenico reale dell’ambientazione del romanzo. Con lucidità obiettiva, Remarque raccontò per filo e per segno quello che accadde: uomini contro altri uomini buttati al massacro per un ideale imperialista. Il personaggio principale Paul Baümer è nella mente dell’autore, l’immagine del giovane idealista che abbandona i banchi di scuola per raggiungere i campi di battaglia, facendo propria l’ideologia del suo paese, convinto di vincere una guerra giusta. Con un forzato parallelismo la vicenda calza a pennello ai nuovi combattenti spediti con un ignobile “salto” nel passato all’invasione russa in Ucraina. Ma questo è solo un pensiero di un redattore che cerca di approfondire un suo punto di vista su questa nuova versione cinematografica. Infatti sottolineo, con un certo dispiacere, che Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale del regista Edward Berger; candidato a sorpresa a ben 9 Oscar; non è un remake (almeno non senso stretto del termine) del capolavoro di Lewis Milestone che nel 1930 vinse due premi Oscar come miglior regia e miglior film. L’opera di Milestone seguiva in maniera pedissequa le pagine di Remarque così da farne un manifesto pacifista e antimilitarista. Di quell’opera immortale resterà per sempre la sequenza finale di Paul Braümer, qualche giorno prima della guerra; forse proprio all’alba dell’ultimo giorno; che dopo aver visto tutti i suoi amici/compagni trucidati ad uno ad uno nelle trincee per un ideale “fallito”, allunga la mano per toccare una farfalla e venire di conseguenza freddato da un cecchino nemico. E’ una immagine potente, come lo è la sequenza del passaggio degli stivali di cuoio pregiato che transitano dai piedi ai piedi degli amici uccisi durante gli assurdi assalti alla baionetta.


Il film di oggi non tocca queste punte poetiche, ma si adagia alla forza delle crude immagini di battaglia con un giusto realismo che assomigliano di molto alle mattanze del Soldato Ryan. Ma come il film di Milestone parla della guerra, di qualsiasi guerra e dell’idiozia stessa di un conflitto. Il soldato Ryan e Paul Braüner, volendo hanno un parallelismo tanto efficace quanto realista sul fatto del sacrificio di giovani vite. Il film di Spielberg amplificava il grande quid se era giusto il martirio di otto militari per salvarne uno solo. Era una metafora potente perché quel figlio poteva essere nostro. Un nostro Paul Brauner. Ryan al contrario di Paul, torna a casa grazie all’immolazione di altri. Paul resta invece sul campo. E forse nessuno si ricorderà di lui. Il film di oggi non va alla ricerca di sottigliezze e metafore varie. Racconta solo di una guerra sporca. Della guerra voluta da altri. Parla del fango. Parla della terra gonfia di sangue. Parla della perdita degli ideali. Parla di una gioventù perduta che riempirà pagine retoriche di storia. Sottolinea, soprattutto, che tutte le guerre sono sbagliate. Il film di Edward Berger è forzatamente pacifista, zeppo di effetti speciali, che non lesinano le mattanze, gli sbudellamenti e i caduti dilaniati, con una cura forse troppo pornografica. Scelta registica per immergere lo spettatore nel massacro che fu la Prima Guerra Mondiale.


Al contrario del romanzo e del film di Milestone (e volendo della versione popolare del 1979) inizia direttamente sui campi di battaglia. Anzi nel pieno di una battaglia sanguinosissima, dove perfino le vanghe vengono usate come armi da offesa, e finisce con una inquadratura della miriade di morti ammazzati e delle divise dei caduti lavati, rattoppati e rimessi in uso per altri futuri cadaveri. Prosegue poi con un flashback dove dei giovani, ebbri di un retorico discorso del loro professore partono per il fronte convinti che la guerra finirà da li a pochi giorni. Ben presto scoprono però che non si tratta di una passeggiata e come in un crudele countdown cadono ad uno ad uno. Paul Brauer resta vivo, diventando purtroppo uomo e testimone di efferatezze che la famiglia, la scuola e il governo gli ha inculcato e volutamente nascosto. Il finale è meno poetico dei prototipi e per accentuare la mattanza mostra Paul Braüner nell’ultimo giorno di guerra, esattamente qualche minuto prima della firma dell’armistizio, che baionettato durante un attacco in trincea, muore guardando un cielo grigio dal quale probabilmente il giorno dopo uscirà il sole ad illuminare il fango dove sono morti tutti i suoi compagni. Quel fango dal quale torneranno a crescere dei fiori. Si tratta di una rilettura concepita per delle generazioni che hanno perduto la memoria e che “improvvisamente” si è trovata a vivere “televisivamente” l’attuale mattanza ucraina. Questa sera il film con molta probabilità si aggiudicherà qualche premio Oscar. E’ in lizza per miglior film, migliore regia, compreso miglior film internazionale, più altri premi secondari. Candidature assegnate più per indignazione verso la guerra ingiusta e voluta da Putin ed il suo sogno imperialista; che per il valore di un opera antimilitarista. Ma questa è la forza del cinema. Raccontare il passato per vestire il presente. Compresa la morte inutile di giovani vite mandate al massacro per una incosciente e malata ideologia di conquista.



(Domenica 12 Marzo 2023)


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